[Kuroshitsuji] La ragazza che nessuno vede
May. 6th, 2015 11:42 am![[identity profile]](https://www.dreamwidth.org/img/silk/identity/openid.png)
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Titolo: La ragazza che nessuno vede
Fandom: Kuroshitsuji (Black Butler)
Personaggi/Pairing: Elizabeth Midford
Rating: NSFW
Warning: Self Love; Sex toy; Underage
Wordcount: 996
Prompt: #2: Elizabeth Midford
Disclaimer: Tutto della Toboso, Promesso
Non era una ragazza come tutte le altre e con questo aveva dovuto lottare fin dalla più tenera età, fin da quando il suo talento era emerso e sua madre l’aveva presa sotto la sua ala per fare di lei una donna dal fisico forte, farle affinare i grezzi riflessi.
La giovane Elizabeth era stata da sempre costretta a vivere in questi due mondi separati: alla luce del sole e agli occhi dell’innocente e inconsapevole Alta Società lei era la giovane, bella e ingenua secondogenita del Marchese Midford, mentre in segreto, nelle cerchie più ristrette attorno alla protezione di Sua Maestà, lei era il genio della scherma, la giovane incredibile spadaccina che presto non avrebbe avuto rivali in tutto l’Impero – e andava bene, per Ciel, per proteggerlo e aiutarlo nel suo compito lei avrebbe fatto questo ed altro.
Eppure esisteva un’altra Elizabeth di cui nessuno era a conoscenza, una Elizabeth che lei stessa a volte dimenticava di essere, tanto era l’imbarazzo che provava in quella sua debolezza che nessuno, nemmeno sua madre, avrebbe mai potuto curare. Non era una creatura tanto diversa dalle altre, la sua grazia e la gentilezza e l’amore erano pari a quelli che sempre dimostrava e che dimoravano nel suo cuore, eppure questa creatura compariva solo di tanto in tanto, sempre di notte, quando il buio calava come un manto e la sola luce che le illuminava il viso ancora rotondo dell’infanzia e capelli dorati era la luna che con i suoi deboli raggi si insinuava tra le pesanti tende per gettare uno sguardo su di lei e sul suo segreto.
«Non è un peccato,» le aveva una volta sussurrato Madam Red all’orecchio, accarezzandole i boccoli. «Non è sbagliato ascoltare ciò che il tuo corpo e il tuo cuore desiderano, devi solo imparare a farlo in modo discreto, in modo che nessuno, in futuro, possa scoprirlo.» Ed era stato così che Elizabeth aveva conosciuto in sua zia una nuova maestra e guida, che era stata presa per mano e accompagnata a passeggio nella sua intimità, in un viaggio alla scoperta del proprio corpo e dei propri sentimenti. Non era stato semplice, ma ora che la meta era vicina, Elizabeth aveva iniziato a camminare sola lungo quel sentiero, armata del coraggio che Madam Red le aveva insegnato e di quel piccolo giocattolo che le era stato regalato.
Elizabeth sospirò sotto le coperte, incapace di prendere sonno, e allungò una mano per stringere quella dell’animale di pezza che di notte le teneva compagnia.
«Che cosa dovrei fare?» Gli sussurrò, guardandolo fisso in quegli occhi neri ed espressivi, e poi sospirò ancora e si mosse, stendendosi supina e tirandosi il pupazzo sulla pancia per abbracciarlo forte tra le braccia bianche e magre e forti.
Era una di quelle notti.
Cercando di essere il più gentile possibile prese l’animale di pezza e lo fece sedere su uno dei cuscini, il muso rivolto alla testiera del letto, e poi scivolò a piedi nudi sul freddo pavimento e in punta di piedi camminò fino al baule che teneva vicino alla finestra, il baule in cui erano conservati i suoi ricordi più cari e, sotto di essi, i suoi segreti di signorina. Cercando di fare il meno rumore possibile scavò tra le sue cose e nel buio a cui ormai i suoi occhi si erano abituati le sua mani si strinsero intorno a ciò che stava cercando: una scatola laccata di nero con intricate decorazioni dorate che Elizabeth aprì con dita un po’ tremanti a causa del freddo; da essa estrasse poi ciò di cui aveva bisogno, un cilindro metallico un po’ più lungo della sua mano dalla punta arrotondata e gonfia e una bottiglietta piena per metà di un olio viscoso e profumato.
Elizabeth guardò per alcuni istanti quegli oggetti e li strinse al petto, si alzò e a passi leggeri ritornò al letto, sedendosi sulla sponda; poi, con il cilindro appoggiato in grembo, aprì la piccola bottiglietta e assaporò il profumo dolce e intenso del liquido prima di versarsene una generosa dose sul palmo della mano. Dopo averla accuratamente richiusa Elizabeth fece scivolare la bottiglietta accanto alla gamba del pupazzo e con metodo iniziò ad accarezzare dalla punta alla base il cilindro metallico, oliandolo mentre tra le sue cosce iniziava a concentrarsi un intenso calore che le prese anche il viso, facendole sentire le guance e le punte delle orecchie in fiamme.
Senza fretta poi, anche se il suore le batteva forte in petto, strisciò nuovamente sotto le coperte, si liberò della biancheria, divaricò le ginocchia e aiutandosi con le dita iniziò lentamente a spingere la punta del cilindro dentro se stessa, stringendo le labbra per non rischiare di urlare o gemere fino a farsi sentire dagli altri abitanti della casa.
Ora si sentiva piena, completa quasi, mentre con le mani muoveva il cilindro avanti e indietro o disegnando cerchi dentro di lei, stimolando le pareti morbide e calde, talvolta sfiorando di sfuggita con una mano il clitoride sensibile, e d’un tratto la sua testa divenne leggera mentre tenere le ginocchia sudate in quella posizione diventava faticoso, così leggera che bastò l’eco di un movimento per scacciare via tutti i pensieri e le preoccupazioni e lasciarla con la mente libera di godere, anche se per pochi secondi, anche se per pochi attimi prima che la luce bianca che le aveva attraversato gli occhi si dissolvesse nel buio della sua stanza da letto.
Elizabeth, estratto lentamente il cilindro, stese le gambe e si portò il dorso di una mano sulla fronte appena imperlata di sudore, prima di voltarsi sul fianco e rannicchiarsi su se stessa, con le ginocchia strette al petto come a voler trattenere quel calore e quel piacere ancora per un po’; prima che la cameriera venisse a svegliarla avrebbe certo ripulito e riordinato, ma il quel momento aveva solo voglia di concedersi pace e fingere per una volta di poter essere libera di fare quello che più la aggradava.
Solo per un altro po’.
Fandom: Kuroshitsuji (Black Butler)
Personaggi/Pairing: Elizabeth Midford
Rating: NSFW
Warning: Self Love; Sex toy; Underage
Wordcount: 996
Prompt: #2: Elizabeth Midford
Disclaimer: Tutto della Toboso, Promesso
Non era una ragazza come tutte le altre e con questo aveva dovuto lottare fin dalla più tenera età, fin da quando il suo talento era emerso e sua madre l’aveva presa sotto la sua ala per fare di lei una donna dal fisico forte, farle affinare i grezzi riflessi.
La giovane Elizabeth era stata da sempre costretta a vivere in questi due mondi separati: alla luce del sole e agli occhi dell’innocente e inconsapevole Alta Società lei era la giovane, bella e ingenua secondogenita del Marchese Midford, mentre in segreto, nelle cerchie più ristrette attorno alla protezione di Sua Maestà, lei era il genio della scherma, la giovane incredibile spadaccina che presto non avrebbe avuto rivali in tutto l’Impero – e andava bene, per Ciel, per proteggerlo e aiutarlo nel suo compito lei avrebbe fatto questo ed altro.
Eppure esisteva un’altra Elizabeth di cui nessuno era a conoscenza, una Elizabeth che lei stessa a volte dimenticava di essere, tanto era l’imbarazzo che provava in quella sua debolezza che nessuno, nemmeno sua madre, avrebbe mai potuto curare. Non era una creatura tanto diversa dalle altre, la sua grazia e la gentilezza e l’amore erano pari a quelli che sempre dimostrava e che dimoravano nel suo cuore, eppure questa creatura compariva solo di tanto in tanto, sempre di notte, quando il buio calava come un manto e la sola luce che le illuminava il viso ancora rotondo dell’infanzia e capelli dorati era la luna che con i suoi deboli raggi si insinuava tra le pesanti tende per gettare uno sguardo su di lei e sul suo segreto.
«Non è un peccato,» le aveva una volta sussurrato Madam Red all’orecchio, accarezzandole i boccoli. «Non è sbagliato ascoltare ciò che il tuo corpo e il tuo cuore desiderano, devi solo imparare a farlo in modo discreto, in modo che nessuno, in futuro, possa scoprirlo.» Ed era stato così che Elizabeth aveva conosciuto in sua zia una nuova maestra e guida, che era stata presa per mano e accompagnata a passeggio nella sua intimità, in un viaggio alla scoperta del proprio corpo e dei propri sentimenti. Non era stato semplice, ma ora che la meta era vicina, Elizabeth aveva iniziato a camminare sola lungo quel sentiero, armata del coraggio che Madam Red le aveva insegnato e di quel piccolo giocattolo che le era stato regalato.
Elizabeth sospirò sotto le coperte, incapace di prendere sonno, e allungò una mano per stringere quella dell’animale di pezza che di notte le teneva compagnia.
«Che cosa dovrei fare?» Gli sussurrò, guardandolo fisso in quegli occhi neri ed espressivi, e poi sospirò ancora e si mosse, stendendosi supina e tirandosi il pupazzo sulla pancia per abbracciarlo forte tra le braccia bianche e magre e forti.
Era una di quelle notti.
Cercando di essere il più gentile possibile prese l’animale di pezza e lo fece sedere su uno dei cuscini, il muso rivolto alla testiera del letto, e poi scivolò a piedi nudi sul freddo pavimento e in punta di piedi camminò fino al baule che teneva vicino alla finestra, il baule in cui erano conservati i suoi ricordi più cari e, sotto di essi, i suoi segreti di signorina. Cercando di fare il meno rumore possibile scavò tra le sue cose e nel buio a cui ormai i suoi occhi si erano abituati le sua mani si strinsero intorno a ciò che stava cercando: una scatola laccata di nero con intricate decorazioni dorate che Elizabeth aprì con dita un po’ tremanti a causa del freddo; da essa estrasse poi ciò di cui aveva bisogno, un cilindro metallico un po’ più lungo della sua mano dalla punta arrotondata e gonfia e una bottiglietta piena per metà di un olio viscoso e profumato.
Elizabeth guardò per alcuni istanti quegli oggetti e li strinse al petto, si alzò e a passi leggeri ritornò al letto, sedendosi sulla sponda; poi, con il cilindro appoggiato in grembo, aprì la piccola bottiglietta e assaporò il profumo dolce e intenso del liquido prima di versarsene una generosa dose sul palmo della mano. Dopo averla accuratamente richiusa Elizabeth fece scivolare la bottiglietta accanto alla gamba del pupazzo e con metodo iniziò ad accarezzare dalla punta alla base il cilindro metallico, oliandolo mentre tra le sue cosce iniziava a concentrarsi un intenso calore che le prese anche il viso, facendole sentire le guance e le punte delle orecchie in fiamme.
Senza fretta poi, anche se il suore le batteva forte in petto, strisciò nuovamente sotto le coperte, si liberò della biancheria, divaricò le ginocchia e aiutandosi con le dita iniziò lentamente a spingere la punta del cilindro dentro se stessa, stringendo le labbra per non rischiare di urlare o gemere fino a farsi sentire dagli altri abitanti della casa.
Ora si sentiva piena, completa quasi, mentre con le mani muoveva il cilindro avanti e indietro o disegnando cerchi dentro di lei, stimolando le pareti morbide e calde, talvolta sfiorando di sfuggita con una mano il clitoride sensibile, e d’un tratto la sua testa divenne leggera mentre tenere le ginocchia sudate in quella posizione diventava faticoso, così leggera che bastò l’eco di un movimento per scacciare via tutti i pensieri e le preoccupazioni e lasciarla con la mente libera di godere, anche se per pochi secondi, anche se per pochi attimi prima che la luce bianca che le aveva attraversato gli occhi si dissolvesse nel buio della sua stanza da letto.
Elizabeth, estratto lentamente il cilindro, stese le gambe e si portò il dorso di una mano sulla fronte appena imperlata di sudore, prima di voltarsi sul fianco e rannicchiarsi su se stessa, con le ginocchia strette al petto come a voler trattenere quel calore e quel piacere ancora per un po’; prima che la cameriera venisse a svegliarla avrebbe certo ripulito e riordinato, ma il quel momento aveva solo voglia di concedersi pace e fingere per una volta di poter essere libera di fare quello che più la aggradava.
Solo per un altro po’.